Intorno al 500 a.C., appariva già in un inno omerico, il termine "Europa".
Dall'etimo semitico "ereb" = "Occidente".
I greci antici, immaginavano Europa come una giovane principessa
fenicia, che il greco Zeus, rapì dopo aver preso le sembianze di un
toro,portando la giovane donna con sè sull'isola di Creta. La bella
Europa, sul toro bianco con i capelli al vento aggrappata disperatamente
alle corna della bestia temibile, trascinata a forza da Zeus in un
galoppo folle da un continente all'altro : è questa l'immagine simbolica
alla base della nostra cultura. Tutt' altro che una fuga d'amore, ma la
narrazione brutale di un rapimento e di uno stupro. La vergine aveva un
aspetto terribilmente spaventato, quasi in lacrime, in groppa al toro
bianco, strappata alla famiglia incontro ad un incerto destino.
A ciò si aggiunge la leggenda del fratello di Europa, Cadmo che partito alla ricerca di lei, giunge in Beozia dove finì per sposare la principessa Armonia e fondò la mitica Tebe dalle sette porte. La leggenda vuole che Cadmo abbia introdotto l'alfabeto fenicio nel mondo greco.
La presenza dell'elemento fenicio alle origini dell'Europa è molto forte.
Anche quello cananeo, poichè i cananei erano gli avi dei fenici e abitavano la costa libanese già IV millennio a.C. Gli stessi fenici riconoscevano nei cananei i padri fondatori della loro cultura.
(...)L'archeologa lituana Marjia Gimbutas, ha condotto approfondite ricerche in territorio danubiano e sui Balcani per individuare le antichissime culture neolitiche di popolazioni insediate nel continente, ha coniato la definizione di "Vecchia Europa" evidenziando diversi centri abitati, culla delle prime comunità protoeuropee. I reperti analizzati dalla studiosa raccontano di villaggi ben organizzati in cui vivevano probabilmente comunità ecumeniche di struttura matrifocale. Parlare di matriarcati nel vero senso della parola sarebbe errato.
Il focus di queste società della Vecchia Europa era la donna, in quanto dispensatrice di vita, fonte dell'abbondanza, del raccolto, della fertilità dei campi. Tuttavia la figura dell'uomo doveva essere di pari importanza pur rivestendo un ruolo differente. I due elementi maschile e femminile si completavano a vicenda.
Le risorse non erano un monopolio di pochi, ma proprietà di ogni individuo della comunità. I reperti forse più impressionanti in assoluto sono le "Tavolette di Tartaria". Se è vero quanto sostiene l'archeologa lituana nei suoi scritti, la cui teoria tanto discussa sembra essere confermata dai più recenti studi del linguista Harald Haarmann, le popolazioni della Vecchia Europa possedevano un sistema di scrittura. Dobbiamo riflettere su questo punto. Normalmente la scrittura è sempre stata considerata dagli storici l'elemento principe che caratterizza le cosiddette "grandi culture". La scrittura cuneiforme dei sumeri e quella geroglifica degli egizi avrebbero apportato nuove possibilità di scambio, favorito il commercio, la comunicazione, lo sviluppo del pensiero.
I sistemi di scrittura sumero ed egizio, nati per quanto ne sappiamo al momento, intorno al 3200 a.C. sarebbero stati la" conditio sine qua non" alla nascita delle grandi civilizzazioni. I sumeri e gli egizi la usarono soprattutto nel commercio.
I reperti a noi noti parlano di merci prodotte nel Paese stesso oppure importate.
L'idea che la scrittura sia nata nel territorio fra il Tigri e l'Eufrate e poi in Egitto, avallava la tesi che l'alba della storia avesse rischiarato queste due grandi aree per prime. Invece non è esattamente così.
Ora si sa che esisteva anche la scrittura di Tartaria che precede di molto l'apparizione del sistema cuneiforme di Sumer e del sistema geroglifico d'Egitto.
C'è di più. Un'altra differenza è data dal fatto che la scrittura di Tartaria non era usata a scopo commerciale, bensì religioso.
Non si volevano comunicare dati e informazioni, ma piuttosto operare rituali magici che potessero influire sul cosmo.
Un pensiero astratto, importante, raffinato.
Qualora le teorie di Gimbutas e Haarmann si rivelassero rispondenti a realtà, bisognerebbe riscrivere la storia. Di colpo affiorerebbe dalle nebbie del passato una grande cultura forse addirittura superiore alle successive, sconosciuta, ecumenica, per giunta matrifocale e magari anche pacifica.
Il contrario delle gesta rumorose degli eroi.
Improvvisamente i principi sumeri con le loro liti sanguinose per la supremazia territoriale e gli orgogliosi faraoni con le loro campagne militari in Nubia e Sinai impallidirebbero davanti alla lezione di vita di una cultura primigenia capace di vivere nella pace e nell'abbondanza. Senza mura di fortificazione, senza protagonisti rapaci. Senza regnanti despoti e popolazioni oppresse.
Sì, perchè stando alle teorie ben documentate di Haarmann e Gimbutas, l'epoca della Vecchia Europa sarebbe terminata proprio sotto la spada dei predoni protoindoeuropei. Intorno al IV secolo a.C. , le prime ondate di tribù protoindoeuropee, emigrate dalle steppe al di là del Volga alla ricerca di nuove aree abitabili, avrebbero invaso, come un ciclone, i territori della Vecchia Europa mettendo fine alle comunità ecumeniche e instaurando nuove strutture sociali di stampo gerarchico/guerriero.
Fu in quel periodo che la Vecchia Europa morì e cominciò a profilarsi la sagoma di un nuovo mondo?
Furono gli invasori delle steppe a sancire la nascita della nuova Europa con la violenza?
Fatto sta che, da quell'epoca, la storia compie una svolta. Dapprima fioriscono comunità di stampo guerriero, si costruiscono alte mure per proteggere i centri abitati, si recano offerte a divinità maschili dominatrici e assetate di sangue, si perde il contatto diretto con il divino che passa nelle mani dei soli sacerdoti, si viene asserviti a una classe dominante che assume il controllo delle risorse economiche, stabilisce regole sociali e imposte da pagare.
Allo stesso tempo sembra che i nuovi arrivati portino con sè una smania di costruzione senza eguali, che gareggino tra di loro nell'innalzare i monumenti più grandi, i complessi più vasti, le tombe più imponenti.
Si dicono "figli del sole", di quella luce forte, splendente, aggressiva che può accecare e che contraddistingue l'elemento maschile, opponendosi al flebile chiarore della luna. Nelle decorazioni sacre, la falce della luna è allora sormontata da un disco polare, posseso esclusivo di una divinità barbuta. In Egitto, dal falco Horus.
I Signori del sole sono guerrieri. Forse perchè hanno intuito che solo la forza bruta può sopraffare l'autorità atavica del femminino sacro. L'impeto della guerra. Ed ecco che assistiamo a un'altra metamorfosi: alle caratteristiche tipiche della divinità femminile si associa un aspetto guerresco.
La Grande Dea, la cui esistenza non si può cancellare da un giorno all'altro ma piuttosto "domare" e adattare alla nuova politica, impugna arco e frecce.
Assume il volto distruttore di Anat e Neith, si precipita sul campo di battaglia come una furia pronta a massacrare il nemico. Rade al suolo le città. Questa faccia del femminino sacro, ovviamente contro natura, è il tipico costrutto di una società patriarcale, ed era sconosciuto alla religiosità della Vecchia Europa.
Quando non si scatena urlando vendetta, la dea è ritratta dalla nuova classe sacerdotale come creatura sottomessa a un dio maschile e supremo. Agisce in funzione di lui. E' la sua amante, sorella, madre, sposa. Si muove nella sfera del dio solare, lo serve con docilità e abnegazione. Anat è la sposa di Shamash, Iside la sorella e sposa di Osiride, madre di Horus. Queste non sono più le signore assolute del cielo, ma le appendici scomode e tuttavia indelebili per motivi di tradizione del dio conquistatore.
Puntando l'indice sulla trasformazione politico-religiosa che accompagnò la fine del neolitico, vorrei evidenziare che le conseguenze di questa profonda metamorfosi sono alle radici della società odierna.
Nonostante i millenni trascorsi. Le stiamo ancora subendo tutti.
Con il passaggio da una filosofia di vita improntata principalmente su una religiosità di stampo femminile e una società ecumenica a un'altra improntata su di un culto essenzialmente maschile e una struttura gerarchica regolata dalla casta dominante, l'aspetto del mondo alla fine del neolitico è cambiato per sempre.
Non soltanto in senso negativo, ben inteso. Bisogna riflettere sul fatto che una società di tipo patriarcale e guerriero probabilmente incrementa in modo accentuato la corsa alla supremazia, al potere.
E quest'ultima incita alla concorrenza, alla creatività, all'inventiva, allo spirito di scoperta di elementi sempre nuovi che possano assicurare a una classe dirigente il monopolio del potere nel prossimo futuro.
Da qui la crescita e l'espansione velocissima del commercio, lo sviluppo complesso dei sistemi di comunicazione, della costruzione edile, della legislatura, dell'agricoltura e delle industrie.
Questo è l'aspetto positivo delle società patriarcali.
Purtroppo però dove ci sono sviluppo e concorrenza, ci sono anche le guerre.
Dove c'è la ricchezza smisurata di pochi, c'era l'impoverimento di molti. A ciò si aggiungeva la crescita continuata delle popolazioni con conseguente antropizzazione dei territori fertili. Le catastrofi naturali, i grandi cambiamenti climatici, come siccità o inondazioni, tutto questo portava all'esodo d'intere comunità. C'era sempre bisogno di trovare nuovi territori, terra vergine da coltivazione e pascolo, maggior quantità di selvaggina. Per sopravvivere e assicurare la continuazione della specie.
Le transumanze da un luogo all'altro erano all'ordine del giorno. Le migrazioni delle popolazioni del mondo antico sono state sicuramente di portata molto più ampia e anche molto più frequenti di quanto non si creda.
Se potessimo tracciare i movimenti dei nostri antenati su di un mappamondo, ci ritroveremmo dinnanzi a una fitta rete di linee sovrapposte, una griglia di spostamenti millenari. Con tutte le implicazioni che questo comporta. Non dobbiamo immaginare che le migrazioni siano avvenute come una passeggiata turistica.
Molto spesso erano accompagnate da saccheggi, violenze, azioni armate.
Alcune erano vere e proprie guerre, così come le battaglie egizie narrate dai testi geroglifici, quelle in cui Horus e i suoi compagni sterminarono i nemici del Delta.
Guardiamola sulla carta geografica, questa nostra Europa, dopo millenni di storia: oggi si estende dal Portogallo agli Urali, dalla Norvegia alla Spagna.
Sono circa 10.000 milioni di chilometri quadrati di superficie, non molto in confronto all'ampiezza di altri continenti.
Siamo più di 700 milioni di abitanti, distribuiti in un mosaico di piccole nazioni estremamente diverse l'una dall'altra, con lingue diverse, talvolta con religioni diverse, e quasi sempre con tradizioni diverse.
Non c'è omogeneità in quest'Europa di differenze. L'unico denominatore comune è il nome, che riunisce in sè i colori mutevoli di un pittoresco caleidoscopio.
Non c'è dubbio, aveva proprio ragione Bernard-Henri Levi quando diceva: "L'Europa non è un luogo, ma un'idea".
fonte : (dal cap.Il fantasma dell'Europa, p.11-19, di Sabina Marineo"Trappola globale"2013 Edizioni il Punto d'Incontro )
* sarebbe importante prendere in esame l'intero capitolo e non solo ma date le restrizioni dei diritti riservati mi è sembrato già di avere riportato troppo.
La principessa Europa rapita da Zeus
Europa nella "moneta greca" da 2 euro